Partizionamento ottimale del disco

Qual’è il partizionamento ottimale di un disco in cui installeremo Linux?

La risposta dipende dall’utilizzo che ne verrà fatto.

Se guardiamo a come si trovano partizionate le partizioni dei due dischi SSD del portatile, noteremo che sono già ottime: il disco da 4 GB contiene tutto il sistema operativo, ovvero la root /, mentre il secondo disco da 16GB contiene la nostra home /home.

Questo ci permette di avere i nostri dati separati dal sistema operativo, il quale potrà essere cambiato a piacimento senza dover preventivamente fare un backup dei dati.

Ma qual’è il partizionamento ottimale su un sistema pc fisso o su di un portatile avente un hard disk tradizionale da centinaia di GB disponibili?

Apparentemente avere una partizione unica sembrerebbe la soluzione ideale, soprattutto se usiamo una distribuzione Linux e siamo affezionati ad essa: ci basta ogni volta effettuare l’aggiornamento di versione dalla corrente alla nuova, senza che i nostri dati nella home vengano intaccati.

Resta inteso che diamo per scontato di avere la presenza di un partizione di Swap da 1 o 2GB nel filesystem (se proprio la memoria scarseggia e dobbiamo ricorrere ad un file di swap, meglio optare per una soluzione performante).

Questa soluzione comunque ottimale potrebbe però subire dei problemi in futuro nel caso che:

Vogliamo installare una seconda distribuzione parallelamente alla prima
Preferiamo installare la nuova versione della nostra distribuzione senza ricorrere alla procedura di aggiornamento (come di solito raccomandato dalla distribuzione).
L’ultimo punto può avere comunque una certa importanza dato che passaggi di versione avvenuti in passato quali da KDE 3.x a 4.x, o da Kernel 2.4 a kernel 2.6, possono cambiare molto l’ambiente operativo di cui eravamo abituati, costringendoci a una fase iniziale di post configurazione o di adattamento ai programmi che può richiedere un certo tempo. In quest’ottica, avere i due sistemi attivi contemporaneamente ci permette di continuare la nostra quotidiana attività, mentre facciamo prendere forma pian piano al nuovo sistema.

Siamo così giunti alla conclusione che ci bastano due partizioni (più quella di swap) presenti nel sistema per avere un partizionamento ottimale.

A questo punto compare però un piccolo inconveniente, che anche se lieve ci fa optare per avere una nuova partizione a disposizione. Infatti nel momento in cui installeremo la nuova distribuzione, questa andrà a piazzare un nuovo bootloader (solitamente si tratta di Grub) sulla tabella principale del disco e il file di configurazione si piazzerà sulla directory /boot del nuovo sistema, lasciando quindi scoperto il sistema precedente (che non verrà automaticamente riconosciuto). Se vogliamo, ad installazione avvenuta, partire col vecchio sistema, siamo costretti a inserire manualmente una nuova voce nel file di configurazione di Grub!

Ecco dunque che una partizione da dedicare a /boot torna utilissima. Questa partizione conviene che sia la prima del disco (e che sia primaria) e abbia una dimensione minima.

Cosa significa minima? Nella directory di boot, solitamente risiede il kernel e l’immagine di inizializzazione che occupano mediamente 5M per farla larga. Considerando che in un sistema possiamo installare il kernel corrente, quello precedente (perchè nel caso il corrente dia problemi partiamo col precedente), quello di debug e il precedente, il kernel XEN virtualizzato e il precedente, più altri 4 per scorta, abbiamo 10 kernel, ovvero 50MB. Avendo due sistemi installati, andiamo a 100MB, ma se facciamo i multipli in base 2, arriviamo alla conclusione che bastano 128MB per questa partizione.

Ora quando installiamo un nuovo sistema segnaliamo sempre di usare il mount point /boot sulla partizione che abbiamo creato e mi raccomando, optiamo per non formattare la partizione (senno perdiamo tutto!). Dato che solitamente i kernel usati nella nuova distribuzione hanno una numerazione differente dalla precedente, siamo anche sicuri che installando il kernel della nuova non andremo ad intaccare quello della precedente. Come feedback positivo da questa scelta avremo anche che il bootloader aggiornerà la configurazione e sia il vecchio che il nuovo sistema saranno riconosciuti all’avvio.

Per quanto riguarda il filesystem usato, data la dimensione minima e al fatto che la partizione sarà usata prevalentemente in lettura, il semplice filesystem EXT2 basta e avanza. Se proprio non vogliamo rinunciare al recovery istantaneo, optiamo per EXT3 (al momento è da evitare EXT4, perchè non tutti i bootloader la riconoscono in fase di boot, anche se presto sarà pienamente supportata)

Ora il nostro filesystem è composto da tre partizioni primarie in cui sono contenute la partizione /boot, la root / del sistema 1 e la root / del sistema 2, mentre una partizione estesa conterrà la partizione di swap.

Queasto può bastare? Ni.
La risposta proviene da questa assunzione: dopo l’utilizzo per mesi, la nostra directory /home avrà una marea di dati archiviati, pertanto nel momento in cui decidiamo di passare al sistema 2 appena installato, dovremo spostare a mano i dati tra le due home. Per contro anche il lavoro di configurazione del nuovo sistema può essere lento, dato che di un programma che non è cambiato tra le due versioni dovremo ricreare la sua l’impostazione.

L’idea è allora questa: nella partizione estesa, creiamo una nuova partizione logica da associare a /home, la quale avrà in percentuale la massima estensione possibile compatibilmente con le due partizioni di root, e sarà condivisa tra i due sistemi (ad esempio 25G+25GB per i due sistemi e 50GB per la home, se il disco è da 100GB).

Questo implica che passando da un sistema all’altro i dati saranno dove si trovano nel precedente (ovvero il desktop sarà lo stesso, ecc) e il 90% delle configurazioni andrà già bene. Occhio anche in questo caso che la partizione non andrà mai formattata quando la indicate come /home al nuovo sistema!

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